«Nella ristorazione il vino può fare davvero la differenza in termini di business. A patto di saperlo vendere»: due anni a Londra nell’alta ristorazione hanno insegnato a Raffaele Silvestre la sensibilità ai numeri, che deve andare di pari passo con la conoscenza del vino.
«In Italia - afferma - abbiamo la cultura del vino ma non la cultura del bere. Il primo aspetto che un ristoratore dovrebbe curare, soprattutto se decide di investire in etichette di una certa importanza, è la corretta conservazione delle bottiglie: occorre un luogo apposito, a temperatura e umidità costante, con poca luce e le bottiglie conservate in orizzontale». Il passo successivo è decidere come strutturare la propria carta: «Inutile avere una carta sterminata di cui non conosciamo il contenuto - spiega Silvestre -. Meglio attenersi a una regola semplice: comprare quello che si conosce, in modo da saperlo vendere. Una strada interessante può essere quella di valorizzare i prodotti di piccoli produttori locali poco noti». Se l’alta ristorazione può permettersi maître e sommelier, nella media la vendita può essere demandata al personale di sala, «a patto di dar loro una formazione adeguata che permetta di spiegare e di vendere il vino».
Il punto di partenza è la carta: «Creare una carta autonoma, separata dal menu principale, è il primo passo per dare importanza al vino - afferma Silvestre -. Con 50-60 etichette si può strutturare un’ottima proposta». I criteri? «Varietà, stile, personalità: deve rispecchiare lo stile e la cucina del ristorante e deve presentare i vini in modo facile per i clienti. Anziché la classica divisione in bianchi e rossi si può differenziare le etichette per tipo: acidi/fruttati, secchi/morbidi, ecc.».
La mescita è un’ottima opportunità, ma va gestita con cura: «Una buona proposta dovrebbe prevedere 2-3 bianchi e altrettanti rossi, legati ai piatti in menu: uno leggero, uno di medio corpo e uno robusto. Le etichette andrebbero ruotate mensilmente. È fondamentale avere un’attrezzatura adeguata che permetta di servire il vino con tutti i crismi». La mescita offre grandi opportunità: «Si può usare per far conoscere un’etichetta sconosciuta, per offrire l’opportunità di assaggiare bottiglie importanti o per proporre quei vini della propria cantina arrivati al top delle loro qualità». Muovere la cantina deve essere un imperativo categorico: «Questo presuppone la conoscenza di quello che si ha in casa. Ma è altrettanto importante continuare a cambiare la proposta, introducendo novità o variando le etichette in vendita. Così come dare al cliente diverse possibilità di scelta anche in base alla spesa, offrendogli in alternativa il bicchiere, la mezza bottiglia e la bottiglia».
Sulle promozioni, invece, Silvestre è scettico: «Se si vende qualcosa di buono, va valorizzato, non svenduto. Certo, è più difficile, perché significa conoscerlo e saperlo raccontare. Ma le imprese della ristorazione che hanno imparato a vendere il vino ne hanno tratto subito beneficio. Dove? Nel conto economico».
Carta dei vini, 4 fattori che aiutano a vendere
Varietà: la carta deve avere vini capaci di soddisfare tutti i palati: secchi/morbidi, leggeri/strutturati ecc.
Rotazione: in una carta “viva” non possono mancare le novità
Personalità: non una carta come tante, ma che rispecchi lo stile del locale
Conoscenza: il personale di sala va formato, deve conoscere i vini in carta e saper consigliare i clienti