Oggi è irrinunciabile offrire una cucina sana, che si proponga immediatamente come portatrice di salute o almeno non pericolosa per essa. Allo stesso tempo sarebbe un errore “medicalizzare” la tavola, dando al cliente l’impressione di trovarsi in una clinica di lusso.
È vero che il cibo è anche una medicina ma guai a spostare pesantemente l’accento su questo concetto denudandolo dell’aspetto edonistico. Benissimo il salutismo, a patto che non si calchi la mano, evitando le modalità radicali dei mangiatori ideologici estremi e mantenendo un atteggiamento laico e non fobico.
Importante, piuttosto, essere informati: per esempio, perché abolire i fritti quando si sa che se si adopera il costoso olio extravergine di oliva, e soprattutto lo si usa una volta sola, non fanno male? Perché abolire le uova (tal quali o in altre preparazioni) perché ritenute ipercolesterolemiche, quando la medicina le ha già assolte da tempo?
E bisogna essere anche onesti: che senso ha escludere dal frigo un buon burro di malga dal frigo quando la dispensa abbonda di preparati per il brodo? E si eviti di strombazzare presenza di due o tre prodotti biologici se sono in compagnia di semilavorati zeppi di conservanti e additivi.
Foto di Martino Ragusa