Tra il 2007 e il 2011 i consumi fuori casa sono calati di 1,8 miliardi per effetto della crisi: l’indagine Fipe “La crisi nel piatto” evidenzia l’importanza crescente della cena e la sempre maggiore propensione al consumo di specialità della propria regione
Nel piatto la crisi, almeno un po’, si sente. Ma chi è capace di cogliere i cambiamenti della domanda può comunque trovare nuove opportunità. Tra il 2007 e il 2011, i consumi fuori casa degli italiani hanno “lasciato sul terreno” 1,8 miliardi di euro. Non poteva essere diversamente, in un periodo che ha visto il reddito pro capite dei nostri connazionali diminuire del 7%.
Le scelte si fanno più attente: il confronto tra alternative è il principale criterio che guida i comportamenti di acquisto. L’analisi “La crisi nel piatto. Come cambiano i consumi degli italiani” presentata dalla Fipe all’ultima edizione di Sapore analizza, dall’elaborazione dei dati Istat, l’evoluzione del rapporto tra gli italiani e i consumi alimentari, in casa e fuori casa.
Negli ultimi vent'anni il peso del pranzo fuori casa è cresciuto progressivamente: oggi sono 12 milioni gli italiani che a mezzogiorno mangiano in bar, ristoranti, mense o sul posto di lavoro. La percentuale di chi mangia al bar o al ristorante negli ultimi anni si è mantenuta abbastanza costante: sono il 28,6%, con un peso maggiore tra i 25-34enni (che preferiscono il bar) e i 35-54enni (più propensi al ristorante).
La cena sta progressivamente sostituendo il pranzo come pasto principale della giornata.
Aumenta il consumo di primi e contorni, in calo i secondi
Si consuma di prevalenza in casa: a cenare fuori casa sono “solo” 3,5 milioni di italiani. Ma se durante la settimana mangia fuori poco più di un italiano su quattro (il 27,5%), nel weekend la percentuale si impenna al 48,9%. Al contrario, i pranzi fuori casa sono molti di più nei giorni feriali (il 33,9% degli italiani) che durante il fine settimana (25,8%). Il pranzo “funzionale”, consumato fuori casa, è sempre meno un pasto completo: più spesso e un panino o un piatto unico, al massimo una combinazione di due piatti.
Cresce lo snacking
Si assiste, insomma, a una progressiva destrutturazione dei pasti: anche lo sviluppo dello snacking gioca la sua parte. L’analisi della spesa alimentare degli italiani lo evidenzia: cresce il peso di pane e pasta, diminuisce quello di carne, pesce e formaggi. Come a dire più primi (e contorni, visto che aumentano i consumi di verdure) e meno secondi.
Aumenta anche la spesa in prodotti dolciari e bevande (alcolici esclusi). Il peso della spesa degli italiani in alberghi e ristoranti cresce: dal 6,7% del 1970 è arrivata nel 2010 all’11,7%. Ciò non toglie che la crisi abbia
cambiato i comportamenti: gli italiani sono più selettivi, non rinunciano alla qualità ma stanno attenti anche al prezzo.
Nuovi stili di consumo
I gusti cambiano, come testimonia il confronto analizzato dalla Fipe tra le serie storiche di Eurisko sugli orientamenti degli italiani a tavola: cresce l’interesse verso le specialità gastronomiche regionali e la dieta mediterranea, cala quello per i pasti veloci e i cibi leggeri. Dal 2006 al 2009, la quota di chi ha dichiarato di preferire le specialità regionali è passata dal 56 al 63,5%, un balzo di oltre sette punti.
Alla riscoperta della dieta mediterranea si accompagna quella della convivialità, valore considerato importante dal 34,5% degli intervistati. Quasi 8 italiani su 10 si considerano buongustai. E il 69% dichiara di preferire le specialità gastronomiche della propria regione.
Il 28,8% apprezza la cucina dei Paesi stranieri, mentre il 16,4% preferisce ristoranti che offrono una cucina ricercata. Interessanti, infine, le percentuali di chi tende a eliminare la carne dalla propria alimentazione (il 15,5%), di chi fa molto uso di alimenti integrali (10,3%) e di chi dichiara di mangiare spesso formaggi freschi (68,9%) e stagionati (60,9%).