Sanificazione: buoni occhi non bastano, servono verifiche

Meglio affidare il controllo della sanificazione degli ambienti a degli esperti

Sanificazione
Meglio affidare il controllo della sanificazione degli ambienti a degli esperti

In tema di pulizia e sanificazione, come in cucina, guai ad affidarsi alla sola vista, perché un ambiente in apparenza pulito potrebbe riservare brutte sorprese. Sono cruciali il controllo e la verifica - scientifica - delle operazioni di pulizia effettuate. «La pulizia quotidiana è indispensabile - spiega Barbara Bottoni, consigliera AfidampCom -, perché permette di avere uno standard di igiene adeguato ovunque: sala, bagno e cucina. Non vanno tralasciati elementi apparentemente di poco conto, come i menu e le maniglie dei bagni, che in realtà sono un ricettacolo di batteri. Per le attrezzature che non si possono pulire quotidianamente, come cappe o impianti di ventilazione, gli interventi vanno calendarizzati».

Buoni occhi critici

Ma come ci si assicura che, una volta pulito, sia tutto sanificato a dovere? «Il ristoratore può avere “buoni occhi critici” - spiega Bottoni -. I professionisti esterni, invece, fanno dei tamponi, analizzati da laboratori certificati, per verificare la presenza o meno di carica batterica sulle superfici». Poiché il principale veicolo di contaminazione microbiologica è la superficie di contatto, è fondamentale monitorarne le condizioni post pulizie. Per farlo, non esiste un unico metodo ottimale: si possono usare piastre sterili di contatto (piastrine su cui giace, solidificato, terreno nutritivo per microrganismi), tamponi sterili che permettono il campionamento microbiologico anche su superfici difficili da raggiungere (tubature, rubinetti) o sponge-bag, sorta di spugna costituita da una striscia assorbente sterile da strisciare sulla superficie e analizzare entro 24 ore.

Le due metodologie più utilizzate per il monitoraggio

1. Bioluminometro: rileva il livello d’igiene su una superficie di lavoro, ma anche all’interno di attrezzature o nelle acque di risciacquo. Il meccanismo rileva la quantità di biofilm rimasto sulla superficie di contatto, sfruttando la luminescenza generata da una molecola, l’adenosintrifosfato (Atp), che reagisce con il tampone ed emette luce.

2. Kit per proteine e agenti riducenti. Rileva la presenza di proteine e agenti riducenti come zuccheri e amidi. Si basa sulla reazione del tampone con il biofilm. Il colore rivela il risultato: verde pallido, incolore o grigio indicano una corretta pulizia della superficie; grigio torbido la necessità di un risciacquo; con viola chiaro o scuro è meglio ripetere la pulizia.

Nel valutare l’efficacia delle operazioni di pulizia, occorre assicurarsi che il prodotto chimico utilizzato sia adeguato. Un detergente è costituito da diverse componenti chimiche che, sciolte in acqua, conferiscono il potere di sciogliere lo sporco. L’insieme di tali componenti, acqua esclusa, è definita “attivo”; un prodotto può avere, per esempio, una concentrazione di attivo del 20%. Naturalmente si utilizza diluito, per esempio dello 0,5%. Moltiplicando le due percentuali s’ottiene il fattore che valuta la capacità di pulire del prodotto (nel nostro esempio, 20 x 0,5 = 10). Per pulizie ordinarie e pavimenti poco sporchi, il fattore minimo è 7. Per pulizie straordinarie e sporco di medio-alta intensità, è 15. I valori indicano solo la capacità pulente della soluzione, ma non considerano la bontà o meno delle tecniche, delle applicazioni e della “mano” dell’operatore.

 

 

 

 

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