Scrive Ferran Adrià al punto n.11 del suo decalogo (ma in realtà sono 23 voci): La cucina concettuale è il vertice della piramide creativa. Che cibo e idea siano i termini di un binomio è storia vecchia: si sa che bene che l'uomo mangia soprattutto con la testa. Durante l'evoluzione abbiamo encefalizzato (cioè trasportato nel cervello) molte funzioni fisiologicamente dislocate in organi più meridionali del corpo, basti pensare alle vicissitudini dell’eros, con i genitali sempre più migrati in alto verso le zone corticocerebrali. Lo stesso è accaduto con il palato: assieme al cibo ingoiamo idee, ideologie, affetti, emozioni, simboli, cultura, non-cultura, tradizioni, storia, antropologia, storia e geografia.
Ciò che mi lascia perplesso nel punto 11 è quel "vertice di piramide" sul quale il papà della cucina destrutturata infilza il "concetto" quando avrei preferito un'immagine cornuta recante su una punta il "concetto" e sull'altra la "materia".
Diceva sempre Adrià quando il suo ristorante era ancora aperto: «Il cliente ideale non viene a El Bulli per mangiare, ma per provare un’esperienza». Un ulteriore, radicale stigmatizzazione del primato dell’idea sulla materia con l'invito a nutrirsi più delle idee dello chef che di cibo.
Qui scatta la ma perplessità: in fondo è piuttosto facile tradurre un’dea (e un’ideologia) in un cibo non necessariamente stupendo da mangiare. La vera sfida, invece, è riuscire a mantenere idea e materia armonici e paritari, senza alcuna prevaricazione di un termine del binomio sull'altro.
Le idee corrono veloci per loro stessa natura ed è naturale che prendano tangenti iperboliche se non sono ben zavorrate dalla materialità del cibo. In questo caso, può succedere che quando atterrano nel piatto risultino troppo astratte e poco appetitose.
Sinceramente, a me piace andare in un ristorante anche per mangiare e non solo per autosomministrarmi idee e ideologie dello chef per via orale. Che sono benvenute, intendiamoci, purché, oltre che plausibili, siano zavorrate con qualcosa di buono da mangiare.
Foto: Zuppa “Il mare che vorrei” di Franco Aliberti
Fotografa: Rossana Brancato