Sei un cuoco ingegnere o bricoleur?

bricoleur

Affrontando il tema della creatività, l’antropologo Claude Lévi-Straus ha teorizzato la figura del bricoleur definendolo come colui che trasforma l’esistente per riorganizzarlo senza distruggerlo. Al bricoleur, Lévi-Straus contrappone l'ingegnere che punta direttamente all’innovazione sulla base di un progetto studiato a tavolino.
Questa teoria può essere utilmente applicate alla cucina: osservando il lavoro degli chef creativi, mi sono reso conto che esistono i cuochi bricoleur e i cuochi ingegneri.

Gli ingegneri si prefiggono un risultato preciso, cercano la novità pianificandola “a priori” e agiscono con un metodo squisitamente scientifico. Sempre partendo dalla base di un progetto, applicano alla cucina i principi e i metodi della fisica, della chimica e di altre scienze esatte. In questo momento, sono rappresentati dai soprattutto propulsori della cucina molecolare che usano tecnologie e strumenti sempre più nuovi e sofisticati per ottenere nuove consistenze e colori. Le materie prime vengono trattate come mai lo sono state in passato: lo stoccafisso diventa un gelato, la verza una candida spuma, le ortiche diventano materia prima per l’estrazione della clorofilla che andrà a colorare nuove consistenze.

All’opposto, il bricoleur inizia il si lavoro guardandosi intorno e indietro. Si concentra su quello che vede e incontra, studia il suo uso originario e ne immagina uno nuovo e magari impertinente, cioè non-pertinente rispetto l’uso consueto. Al contrario dell’ingegnere, quindi, il bricoleur lavora sull’esistente e sul già fatto per riproporlo diverso e migliorato in un’ottica squisitamente evoluzionista. Ma non sa cosa produrrà alla fine. Può intuirlo, cercare di prevedere gli effetti, immaginare un possibile risultato. Ma in pratica sperimenta al momento, osserva, raccoglie, assembla, sperimenta e infine investe sul risultato con una buona quota di rischio personale.

Il cuoco-bricoleur assomiglia molto alle madri di famiglia che soprattutto nel nostro passato si adoperavano per far quadrare il conto dei pasti quotidiani. La differenza è chenel loro caso il bricolage era dettato più dalla necessità che dalla volontà di sperimentazione e di reinvenzione.
Le cucine povere, le cucine di guerra e di sopravvivenza sono sempre state laboratori di
ricerca nelle quali l’attività di bricolage era intensissima, perché unendo un ingrediente insolito a uno monotono se ne ricavava un piatto finalmente nuovo e più gradito. Si pensi ai tanti condimenti che hanno variato in mille modi la solita polenta dei contadini del nord Italia. O, nel sud, l’imitazione dell’alimentazione ricca, con la sostituzione di un ingrediente costoso con un equivalente povero. Per esempio, le “Sarde a Beccafico” siciliane che imitano nella forma i pregiati uccelli una volta esclusivi delle mense aristocratiche.

Oggi le motivazioni della ricerca sono cambiate, non sono più economiche ma attengono alla voglia di sperimentare e inventare.
Il campo di ricerca di oggetti idonei al bricolage, poi, si è esteso moltissimo: parte dalla cucina, dall’orto o dal mercato sotto casa e arriva ad abbracciare tutto il mondo. Ma è sempre bricolage, esattamente come quello di un tempo che ha inventato la nostra attuale tradizione; anche se oggi bisogna fare i conti con un rischio in più: godere di nuove possibilità può indurre il cuoco bricoleur a correre più che mai il rischio dell’assemblaggio disarmonico. Deve studiare e lavorare ancora di e acuire in modo deciso la sua sensibilità, perché con il moltiplicarsi degli ingredienti (esotici, riscoperti ecc) si è moltiplicato anche il pericolo dell’accozzaglia. In questo caso può soccorrere una metafora musicale e potremmo parlare di cuoco-direttore d’orchestra, grande conoscitore della musica e dotato di un ottimo orecchio, capace perciò di puntare alla sinfonia e di evitare cacofonie nel piatto.

Molto spesso il cuoco creativo unisce i due estremi comportandosi un po’ da ingegnere e un po’ da bricoleur. Del primo utilizza soprattutto le tecniche e gli strumenti della cucina molecolare, del secondo la rivisitazione della tradizione. I risultati possono essere molto interessanti ma alla stretta condizione che arrivino dopo uno studio intenso e serio, coadiuvato da numerose prove.  Viceversa, l'atteggiamento di presuntuosa improvvisazione (io so bene cosa va con cosa, anche senza provare) e l'imitazione passiva del lavoro di altri (ma questo è un altro argomento da approfondire altrove) dà luogo a quegli ibridi pasticciati che troppo spesso incontriamo sul nostro cammino di degustatori più o meno critici.

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