Trentasei litri pro capite. È quanto poco vino beve in un anno un italiano, rispetto ai 100 litri di 50 anni fa. Una tendenza
al ribasso irreversibile. Complici i mutati stili di consumo, la crisi e le politiche anti alcool, ma anche una certa disaffezione alla bevanda nazionale. Dati alla mano la quota di giovani italiani non bevitori è salita negli ultimi dieci anni dal 66% al 71%. In Francia, invece, le campagne per il consumo moderato hanno avuto successo: i giovani che non bevono vino sono oggi il 55% contro il 64% del decennio scorso.
La buona nuova è che in Italia si inizia a prendere a cuore la questione. Prova ne è la nascita della Consulta Nazionale del Vino Italiano: per la prima volta undici associazioni si sono riunite per dare una “risposta al crescente calo dei consumi”. Il che nell’Italia dell’individualismo non è poco.
Scopo della Consulta è elaborare progetti che promuovano il patrimonio vitivinicolo a cominciare dai giovani. E già lo scorso settembre ha preso vita nella provincia di Brescia un progetto che vede coinvolti Consulta e scuola. Prossimo passo è la presentazione al Vinitaly di un marchio comune.
Al di là di fregiarsi dell’ennesimo scudetto sulla giacca, speriamo che i soci della Consulta dedichino maggior attenzione ai professionisti, i primi ambasciatori del prodotto a tavola. Professionisti come Rudy Travagli, Stefano Giancotti e Michela Berto, protagonisti delle storie di successo che vi raccontiamo in questo numero. Fulgidi esempi di come il mondo del vino possa aprirsi a nuove occasioni di consumo o mettere mano a rituali e gestualità obsolete (ha senso annusare un tappo non in sughero?). In nome del vino di domani.