Aroma, cucina “con vista” per gourmet

Due terrazze in cima a un palazzo del Cinquecento. Una affacciata sul Colosseo premiata con la stella Michelin e una sul Colle Oppio destinata a bistrot

Anche se a volte non lo si ammette, un po’ la stella Michelin ti cambia la vita. Nella peggiore delle ipotesi una volta conquistata bisogna tener alta la guardia, evitare scivoloni e conservare di anno in anno l’ambito riconoscimento della gudia francese, magari per arrivare alla seconda e poi alla terza. Perdere la stella, invece, può far male al business e sicuramente fa male all’orgoglio personale dello chef.

«A noi è arrivata nel 2014. Tre anni dopo l’apertura, due dopo la Five Diamond statunitense e un anno dopo l’inserimento dell’albergo nel circuito Relais & Chateaux. La stella ha un po’ cambiato il nostro mercato, ci ha permesso soprattutto di raggiungere il tipo di clientela che segue la guida Michelin», racconta lo chef Giuseppe Di Iorio, 47 anni, mentre parliamo sulla bella terrazza di Aroma, locale gourmet in cima al cinquecentesco Palazzo Manfredi, 5 stelle lusso su via Labicana. La vista da quassù è spettacolare: una delle due terrazze è affacciata sul Colosseo, così sembriamo catapultati in La Grande Bellezza, premiato film di Paolo Sorrentino con l’attore Toni Servillo la cui scena iniziale era un festone notturno davanti al simbolo di Roma…
Un panorama che ha il suo peso. Cucina a parte - certificata dalla Michelin e da altre guide di settore - non si può negare che la spettacolare location abbia contribuito al successo di Aroma. Immaginatevi ricchi e turisti nella capitale: se aveste soldi da spendere (150 euro il menu degustazione di 7 portate e altri 60 euro per l’ abbinamento di 7 vini; in due 420 euro …) e foste con moglie o amici non salireste per una cena in paradiso?

La seconda terrazza è invece orientata sul lato di Colle Oppio, non proprio un brutto angolo romano, ma non certo all’altezza del primo. Al centro tra i due dehor c’è una piccola saletta di collegamento, su cui si apre la cucina.
L’altro elemento del successo di Aroma è lo chef Di Iorio. Questo gentile 47enne dall’aspetto un po’ esile e una curiosa somiglianza con Roberto Benigni - tanto da ingannare una sera a cena niente meno che Woody Allen, regista di “To Rome with Love” - ha il merito di aver creato una tra le migliori cucine della capitale nel mezzo della “dolce vita”. Dopo aver lavorato per anni accanto a Giuseppe Sestito al Mirabelle, nel 2011 assume la guida del ristorante di Palazzo Manfredi e con passione e competenza lo posiziona con i risultati che abbiamo detto.
Il successo poggia su una scelta di qualità a tutto tondo, nel cibo e nel servizio. «La materia prima è essenziale, vale il 70% della riuscita del piatto - ammette Di Iorio -. Sulla qualità degli ingredienti non andiamo a risparmiare. Abbiamo gli stessi fornitori di carne, pesce, verdure da 16 anni … Nel bistrot facciamo una cucina di territorio con materie prime laziali, per un terzo prodotti bio, ma non siamo fissati con il biologico. La carne, per esempio, non lo è perché peccherebbe in sapori e umori a causa dell’alimentazione dell’animale. Il pesce invece arriva tutti i giorni. E siamo quasi obbligati a questa fornitura quotidiana perche con soli 16 metri quadrati di cucina e nessun frigo a colonna e cella frigorifera per il fresco non potremmo operare diversamente».
Papà romano e mamma calabrese, le origini dello chef hanno influito sulla sua predilezione per la cucina mediterranea rivisitata, quella che propone ai clienti del ristorante gourmet di Aroma. «Se rimanessi da solo su un’isola e mi dessero la possibilità di portare solo tre ingredienti non avere dubbi. Porterei con me pomodorini, basilico, olio extravergine - sintetizza Di Iorio -. La mia è una cucina senza camuffamenti, raffinata, di sapore, abbastanza semplice».
Rientra in quest’impostazione un piatto come la pasta busiata tirata a mano, con pesto di mandorle, pachino e gamberi gobbetti. L’antipasto di mazzancolla in tempura di pomodoro “sifonata” è già oltre: il pomodoro dona un po’ di acidità e il risultato è una pastella spumosa. Con il “maialino da latte croccante su crema di topinambur e corteccia di topinambur” già siamo entrati invece nel regno del difficile: il cosciotto fa 10 ore sottovuoto a 70°, il topinambur viene bollito e decorticato; con il ripieno si fa una purea, mentre la corteccia viene essiccata. Il maialino è spolpato, sfilacciato (come si fa con il pulled pork) a julienne e ricomposto su una placca messa sotto pressione per un giorno, poi il tutto è tagliato a cubetti; pronti per essere rosolati. Con gli umori e il condimento si prepara infine una riduzione.

A parte la tecnica c’è un altro aspetto fondamentale nel lavoro dello chef ed è la collaborazione con il sommelier Alessio Brigoli e il resto del personale per definire i nuovi menu di stagione, i piatti ideati che entrano in carta, le sperimentazioni da abbandonare in corso d’opera e gli abbinamenti con il vino. Carta da 350 etichette, sguardo italico e respiro internazionale. «Ogni 3 mesi rinnoviamo il menu. Lasciamo 2-3 piatti forti, ma una ventina sono frutto di nuove idee - conclude Di Iorio - e di tanto lavoro di squadra».

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