«La cucina che voglio fare devo ancora cominciare a farla. Anzi no, un po’ la faccio già». Michelangelo Mammoliti, piemontese di Giaveno (To), chef tra i più celebrati della sua generazione (1985), ha dalla sua la forza delle idee, e ancor più la capacità di non lasciarle sospese nell’astratto, ma di renderle concrete nel piatto, dando loro forme e sapori precisi. La sua cucina non è una nuvola di luglio che lascia soltanto una voglia di pioggia, ma un vero temporale gustativo.
Per assaggiarla bisogna prima perdersi tra Langhe e Roero, dove alla geometria delle vigne si alternano noccioli e alberi di pera madernassa, originaria di questo paese. E assaporare la suggestione di questa villa inaugurata nel 2003 da Fabrizio Ventura, un gioiello di quiete circondato dalle colline, con piscina e strutture ricettive connesse a breve distanza.
Dietro il ristorante, che ha il suo punto forte nella terrazza total white aperta sulle colline, si estende un orto di due ettari e mezzo, curato personalmente dallo chef. «Tutto quel che c’è l’ho piantato io», dice. E c’è da credergli, perché tra le doti di Mammoliti non difettano volontà teutonica e abnegazione.
Spesso, a ogni livello di ristorazione, si invoca la “cucina della memoria”. Raramente questa tensione è ricercata con la ferocia di Mammoliti. «Sono nipote di ristoratori, da quando ho quattro anni ho sempre giocato in cucina. Quando ho notato che molti dei miei piatti involontariamente facevano ricordare qualcosa, ho cercato di approfondire questo aspetto, per strutturare la mia cucina sulla memoria e l’emozione. Ho cominciato così a collaborare con una psicologa che mi aiuta a reinterpretare i miei ricordi, e attraverso studio e tecnica cerco di portare questo lavoro nel piatto. Il complimento più grande che un cliente mi possa fare non è dirmi che il piatto è buono, ma che la mia cucina gli ha evocato un ricordo». Per fare questo ci vuole tanta tecnica - appresa in gran parte Oltralpe - abbinata alla creatività italiana. Ci vuole la capacità di estrarre i sapori per cercare la concentrazione del gusto, scavando via il superfluo per andare all’essenziale. E ci vogliono grandi prodotti. In questo le Langhe e, in generale, il Piemonte sono tra i territori più forniti. Anche se mai, nei piatti di Mammoliti, c’è l’agiografia di un ingrediente nella riproposizione di un classico del territorio. Perché i confini della sua cucina sono il mondo, e il buono si esprime con echi piemontesi, italiani, francesi, orientali. Qualche esempio? Gli spaghetti Bbq, eccellenti, sono cotti in un’estrazione di prosciutto Crudo di Cuneo, e poi finiti al barbecue, per un risultato che ricrea nel piatto quel grasso “untuoso” e il sapore affumicato di una braciola di maiale cotta alla brace «proprio come mi preparava mia mamma Katia». Oppure da Nord a Sud, che è un omaggio alle origini calabresi dei nonni: una trippa di baccalà su peperoni di Carmagnola con estrazione di semi di peperone arrostito, servita con a fianco una patata soffiata ripiena di ‘nduia. O ancora il Pomod’oro: una sfera impreziosita da un foglio d’oro (omaggio allo scultore Arnaldo Pomodoro) creata con quattro tipologie di pomodori, accompagnata da un cremoso alla burrata e una frisella integrale con pomodori confit e acqua profumata al rhum agricolo. Mentre il Cubix - ossia raviolo, anguilla yakitori, infusione di rafano - racchiude Piemonte (la pasta ripiena) e Giappone. «Utilizzo la tecnica giapponese dell’ikijime, che garantisce l’uccisione del pesce senza causargli sofferenza eccessiva e stress. In questo modo l’animale non produce inutile adenosina trifosfato e la polpa rimane più soda e si conserva più a lungo: un pesce così trattato dura sei giorni, senza alcun odore».
Nei menu - sono tre: Emozione, Metamorfosi, M@D100%NATURA - è evidente il lato vegetale: ci sono erbe spontanee e fiori (utilizzati con parsimonia, fortunatamente), e le materie prime raccolte a metri zero dall’orto aziendale. Tra i primi, trovano ampio spazio gli spaghetti: «Un piatto popolare che mette d’accordo tutti, che ho declinato in cinque versioni per altrettanti momenti importanti della mia vita che mi hanno fatto crescere a livello di cucina».
È una cucina, quella di Michelangelo Mammoliti, che trasuda tecnica in ogni piatto, ma che spesso non la ostenta. E che è sempre bella da vedere, in composizioni che non tralasciano mai un’estetica ricercata, quasi artistica, ma mai fine a se stessa. Molte portate sono composte da diversi piattini: sono composizioni giocose, che invitano ad utilizzare tutti i sensi, anche il tatto. Dolci compresi - Mammoliti nasce in pasticceria, e lo dimostra - come con il Thai-Siam, strepitoso calembour sul meridiano del mango: croccante di mango, coulant di banana e passione.
“Coraggiosa” la scelta pro-fiamma, in un panorama d’alta cucina troppo concentrato sulle basse cotture. All’esterno della cucina della Madernassa trovano infatti spazio kettle americani (Weber) e il forno-griglia Josper. Ci vuole manico per saper regolare e cuocere col fuoco: un’arte che Mammoliti ha perfezionato da Marc Meneau, chef francese a lungo tristellato famoso per le capacità da rotisseur. “Il segreto è tornare al passato” è una delle convinzioni dello chef. E questa scelta passa anche dalle fiamme libere.
E intrigante è la scelta di proporre shrub prodotti in cucina: come aperitivo, ma anche in abbinamento ai piatti. Una scelta coraggiosa e innovativa, eppure legata a una pratica antica come quella della frutta conservata nell’aceto.