Zibo Campo Base: il food truck mette radici a Milano

Quattro anni fa l'idea vincente: allestire un furgone e trasformare i ravioli in street food. Da quell'idea è nato il ristorante milanese Zibo Campo Base

Poteva diventare ingegnere. Ma il suo destino e la sua fortuna erano in un raviolo. E in un furgoncino. È la storia del milanese Giulio Podestà, 32 anni, oggi titolare con la moglie Laura del ristorante Zibo Campo Base. Succede così: Giulio è poco più che ventenne, ingegneria gli va stretta e viene fulminato sulla via del food, lavorando con Matias Perdomo al Pont de Ferr. Capisce che la professione di cuoco gli si confà e decide di andare a studiare ad Alma. Lì conosce Alessandro Cattaneo e con lui, una volta diplomati, vuole aprire un ristorante. Ma servono soldi, e non pochi.

Ed ecco l’idea giusta: siamo nel 2015, è il momento del cibo di strada, perché non pensare a un food truck? «Era una attività alla nostra portata da un punto di vista dell’investimento, e poi ci piaceva l’idea di dedicarci alla ristorazione, ma con un format completamente diverso». I due si lanciano nel business, con un focus chiaro: rispettare l’artigianalità, un livello alto di qualità e i gusti della tradizione italiana, racchiudendoli nell’involucro di pasta; così ad esempio entrano in produzione i ravioli alla carbonara (ancora oggi un must), dove tutto il condimento della tradizione diventa ripieno e rende possibile il consumo “on the go”. Lo stesso dicasi per i ravioli al ragù bolognese e molto altro; il tutto prodotto in un piccolo laboratorio dedicato, a partire dalla sfoglia fatta a mano fino ai ripieni, sfruttando con criterio la tecnologia del freddo (i ravioli vengono prodotti e abbattuti, per avere sempre una scorta pronta al bisogno). Sul furgone di Zibo («È il soprannome che io e Alessandro ci siamo dati, che ha un’assonanza con cibo - dice Giulio -: un nome breve, facile da ricordare») - c’è solo da rigenerare per 2 minuti in acqua bollente il raviolo e servire, qualunque tipo di ripieno abbia.
«La cosa è piaciuta - prosegue Podestà - il che ci ha spinti ad allargare il menu studiando altri ripieni: alla Norma, al pesto, a mo’ di pizzoccheri, alle cime di rapa ecc. Ogni ripieno è una sorpresa, in bocca hai l’esplosione del sapore e il raviolo in questo senso è perfetto».

Dal truck al ristorante

Rodato il prodotto e la procedura produttiva, consolidata la parte economica, arriva il momento di mandare “in pensione” il furgone e mettere radici con un proprio ristorante (con un investimento di circa 150mila euro), con il vantaggio di avere già una precisa identità, incentrata ovviamente sui ravioli.
Giulio è metodico e ha imparato da buoni maestri: ogni ricetta è provata e riprovata, poi viene scritta nel dettaglio, fotografata e inserita in un quadernone. «Questa catalogazione consente grande indipendenza a chi lavora e riduce il margine di errore - dice Podestà -. Sul nostro “quaderno di bella” abbiamo un centinaio di ricette (di cui una ventina tra ravioli e gyoza, ovvero ravioli in stile giapponese alla piastra, ma con ripieno italiano: alla milanese, allo scoglio, alla bolognese). È un lavoro maniacale, ma è il nostro patrimonio e consente di avere una costanza produttiva, aprendoci le porte anche all’opzione della replicabilità. Potenzialmente infatti Zibo è un format replicabile, anche se non è facile per l’impegno che richiede, perché quello che ci sta premiando è la qualità del prodotto».

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