Non c’è prodotto tanto “italiano” quanto bistrattato quanto l’olio extravergine di oliva. Mortadella, provolone e simili hanno avuto il loro rilancio nella gastronomia, altri prodotti come la birra o il cioccolato artigianale hanno portato l’Italia ai primi posti nel mondo. L’olio nulla: si equivoca ancora tra “d’oliva” ed “extra vergine d’oliva”, fino a poco tempo fa non era raro che nei ristoranti si ricaricassero le bottiglie. Persino il ristorante del Parlamento offriva, fino al 2013, olio tricolore “taroccato”. Anni fa l’avvio della new age degli chef spagnoli è stato contrassegnato da un piccolo gesto rivoluzionario: la sostituzione sui tavoli del burro francese con l’olio. Intanto in Italia ci perdevamo nel tentativo di proporre nei ristoranti la “carta degli oli”: un flop come quella delle acque minerali. Per i ristoratori l’olio ha una duplice funzione: è condimento, se servito al tavolo, è ingrediente se usato in cucina. In tutti i casi la qualità del piatto è esaltata o penalizzata dall’olio che il ristoratore sceglie. Spendendo poco di più, un’insalata, un pesce crudo o un fritto possono diventare sublimi. Invece, spesso si tende a risparmiare dove, invece, bisognerebbe investire. Qualche esempio, che dimostra il valore di questo caposaldo della nostra cultura alimentare? La maison Hermès ha acquistato un masseria nel Salento, dove produce un olio sublime e caro in bottiglie di cristallo e polvere d’oro. Ben prima di conquistare le stelle Michelin, Massimo Bottura vinse il premio Lo Mejor de la Gastronomía con un gelato all’olio di oliva. Ta’ Frenċ è un ristorante di Malta che ha importato dalla Sicilia gli alberi per creare un uliveto in giardino.