È tra gli alfieri del tartufo nostrano. Si chiama Appennino Food Group ed è stata fondata nel 1985 da Luigi Dattilo, all’epoca nemmeno ventenne, che investì quanto aveva nell’acquisto di un pointer (un cane da tartufo per l’appunto, ndr). Oggi, con sede a Savigno (Bo) e due filiali estere (Singapore dal 2015 e Miami dal 2021), la AFG lavora trentacinque tonnellate di tartufo l’anno, tutto rigorosamente verificato e certificato, circa un terzo del quale finisce esportato in tutto il mondo.
E il principale motivo di un successo che parla di quindici milioni di fatturato nel 2021 (+61% sul 2020, +26% sul 2019), è da riscontrarsi proprio nella cura del prodotto, che contrariamente a quanto si crede, si può apprezzare e valorizzare in ogni momento dell’anno.
Tecnologia e materie prime
Le cinque varianti di tartufo che si possono trovare in Italia, infatti, si dividono quasi equamente il trascorrere dei mesi. Appennino Food Group fa della ricerca e del rispetto del territorio le proprie missioni: «La nostra filosofia - racconta Dattilo - parla di grande considerazione per le materie prime e di concreto impegno nella più avanzata tecnologia.
I boschi ci donano spontaneamente i loro frutti più nobili, noi li raccogliamo con la responsabilità che trasmettiamo ai migliori ristoranti al mondo».
Oltre a tartufo in sé, Appennino Food Group lavora ogni anno circa centoventi prodotti conservati, acidificanti, zuccheri o coloranti: si va dalle salse e gli olii tartufati, fino a burro e creme al formaggio, passando per un altro dei focus dell’azienda, i funghi, sia in versione assoluta sia sottoforma di sughi e condimenti per la pasta.
Le certificazioni
Data la provenienza del sottobosco, Dattilo si avvale del supporto di suo fratello Angelo, responsabile di produzione e micologo, che fornisce quindi le necessarie certificazioni ai prodotto trattati.
Il consiglio di amministrazione, di cui anche Angelo fa parte, è completato da Giacomo Biviano; in tutto, Appennino Food Group conta cinquantasei dipendenti.
Per il 2022, il piano di crescita prevede di abbattere il muro dei 16 milioni di euro di fatturato, e il rinnovamento della struttura che passerà dagli attuali 1.500mq a 4.700mq.
La teca
La filosofia AFG è chiaramente individuabile nel progetto con cui l’azienda ha dato vita a una teca ipogea: uno strumento che Appennino Food Group fornisce in comodato d’uso gratuito ai ristoranti aderenti. In sostanza si tratta di un contenitore espositivo in vetro, che grazie a una sofisticata tecnologia, riproduce l’habitat sotterraneo del tartufo.
Essendo composto per l’80% d’acqua, il tartufo richiede un’umidità costante e importante, per conservare le proprie caratteristiche: la teca sfrutta un sistema a ultrasuoni per scindere le molecole d’acqua e trasformarle in una patina nebbiosa, che permette l’idratazione necessaria al tartufo, che può essere così esposto in qualsiasi condizione. Anche considerando che ciascuna specie di tartufo richiede un ambiente specifico, per poter rispettare la sua vita naturale: 10-15 giorni per le varietà a peridio liscio, 20-25 giorni per quelle a peridio verrucoso, considerando anche la loro maturazione.
Ai nostri microfoni risponde
Luigi Dattilo
Come descriverebbe il momento storico del tartufo?
Molti consumatori si sono avvicinati al tartufo negli ultimi anni, e hanno vista ricompensata la loro curiosità dall’utilizzo del tartufo in cucina in varie forme. Originariamente si trovava solo in primi o secondi piatti, oggi lo si assaggia dagli antipasti ai dolci. La domanda è tanta e di conseguenza c’è più possibilità di utilizzare l’ingrediente a trecentosessanta gradi.
Il tartufo soffre di un pregiudizio che lo mette nella categoria di prodotti spesso inaccessibili. Si possono cambiare le cose?
Sì, il tartufo ha sempre incontrato questo problema a causa del suo costo. Il progetto Tartufo tutto l’anno di Appennino Food Group mira proprio a dimostrare come non esista solo il tartufo bianco, il più pregiato, ma anche varietà che possono essere apprezzate da tutti e sempre. La nostra missione è trasmettere il messaggio per cui il tartufo buono non è per forza il più costoso, anzi, è quello che viene meglio interpretato dagli chef.
Quale impiego suggerirebbe per valorizzare al meglio ogni varietà?
Il tartufo è un’arte, e non bisogna porgli limiti. Non lo si può costringere solo a risotti o tagliolini. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di assaggiarlo impiegato in piatti particolarissimi, anche in dolci. Il tartufo sta bene ovunque.
Il tartufo all’estero...
Ogni Paese vive il tartufo a modo proprio: in Germania, per esempio, apprezzano sia il fresco sia il lavorato (e in tutte le varietà), mentre il Giappone chiede solo il prodotto fresco e solo particolari specie. Il nostro scopo oggi è quello di comunicare il tartufo nel modo corretto, e farlo conoscere in tutta la sua potenzialità.