Dieci anni sono un traguardo importante. Lo sa bene Francesco Apreda, che ha appena festeggiato questo passaggio come executive chef nelle cucine di Imago all’Hassler, una stella Michelin. Uno dei ristoranti più belli del mondo, per la vista che offre dalle sue vetrate, in cima a piazza di Spagna.
Chef, ha appena festeggiato i dieci anni.
Per me è il giro di boa, una data importante: dieci anni di continuità per un ristorante non è poco. Quando sono stato chiamato all’Hassler come executive avevo solo 29 anni, ero davvero giovane e dovevamo costruire un’identità, del ristorante e della mia cucina. Ero appena tornato da dieci anni trascorsi a fare gavetta in giro per il mondo e il mio desiderio era di riuscire a creare una mia linea personale, che rispecchiasse le mie esperienze all’estero. Insieme alla famiglia Wirth abbiamo curato il restyling e da lì il percorso gourmet, che è stata la ciliegina sulla torta dell’Hassler.
Cosa ha portato in Italia dai suoi viaggi?
La consapevolezza che la tradizione italiana è la base, ma bisogna personalizzarla salvaguardandola. E io l’ho fatto innestando ciò che ho assorbito nei miei viaggi. A Londra ho imparato le basi del mestiere, in un contesto internazionale. Il Giappone mi ha dato alcune tecniche di cottura, il senso dell’ospitalità e la meticolosità. Lì mi hanno insegnato questo: siamo sempre ospiti e clienti di qualcuno. Dall’India mi sono portato soprattutto le spezie e la capacità di riconoscerle. All’inizio è stata dura, perché percepire le spezie come le percepiscono gli indiani è difficile. Solo una volta che acquisti il palato riesci ad abbinarle.
A proposito di spezie, i suoi mix sono diventati famosi e caratterizzano la sua cucina.
Pepi e sesami è il più importante, il primo e quello che mi ha dato più soddisfazione. Le spezie usate in maniera giusta riescono a dare sapidità ed equilibrare i sapori. L’uso delle spezie è presente in tutte le cucine, ma in quella italiana si limita a una o due in un piatto, mentre nei miei viaggi in India ho imparato a utilizzarne anche dieci. Se dosate nella misura giusta si sentono tutte. Ogni volta che torno dall’India - ci vado un paio di volte all’anno perché faccio delle consulenze - ho il cervello che fuma, perché scopro sempre nuove spezie e non vedo l’ora di utilizzarle.
E nella cucina italiana, cosa cambierà?
Guardiamo sempre più a nuove tecniche, alla salute, alla valutazione dei prodotti ancora più attenta. È sempre molto importante tirare fuori il massimo dai nostri prodotti, anche grazie all’uso di prodotti di altre culture, come le spezie indiane o le alghe giapponesi. Con la globalizzazione è tutto più facile. Io ci tengo sempre a precisare che queste spezie servono a esaltare quello che sappiamo fare bene.
L’obiettivo di Apreda dei prossimi dieci anni?
La crescita di un ristorante costante e continua è già un bel traguardo, quello che inseguo da sempre. Non vi nascondo che mi aspettavo la chiamata della Michelin, che quest’anno non è arrivata. Questa è stata una delusione, ma io giro per i tavoli tutte le sere: la mia soddisfazione è sentire i clienti che ci chiedono perché non abbiamo due stelle. Noi ci nutriamo tutti i giorni di questi riconoscimenti. Siamo sempre pieni da un anno e mezzo e in dieci anni è cresciuto soprattutto il pubblico italiano. All’inizio erano solo stranieri, oggi è al 50 e 50. Il mio motto è mai fermarsi, ma senza stravolgere troppo. Sono più cattivo di prima.