Il fritto buono e sano. Ecco come lo fanno (e cosa friggono) cinque chef italiani

Oli, panature, temperature. Ma anche friggitrici (comprese quelle ad aria) e padelle ad hoc. Come e cosa friggono cinque chef italiani così da offrire piatti gustosi. E leggeri, specie se i fritti sono accostati ad altri ingredienti cotti in altro modo

Croccantezza fuori e tenerezza dentro è il binomio chiave che spinge il fritto sul podio dei metodi di cottura più amati. 

«La frittura andrebbe vista in una chiave nuova: più che protagonista assoluta e unica può diventare un aiuto per migliorare e realizzare ricette con cotture parallele, dove la frittura si integra e rende il piatto finale molto più intrigante, buono e goloso, in un quadro di salute e attenzione agli aspetti nutrizionali».

Questa la vision dello chef Giuseppe Capano, scrittore e consulente alimentare, che sottolinea l’esistenza di ancora troppi pregiudizi sulla salubrità dei fritti. «Come tutte le cotture, contano il metodo e le regole corrette da seguire; anche la semplice lessatura può essere nefasta se fatta male, con perdita di nutrienti importanti senza rendersene conto».

Cotture parallele

La teoria delle “cotture parallele” emerge proprio dalla sua ricetta degli Spicchi di carciofi in pastella croccante ed essenza ai capperi e limone, in cui sono protagoniste cottura con pentola a pressione e frittura. Le foglie più dure infatti vengono ammorbidite in pentola a pressione per poi diventare salsa di accompagnamento unite a capperi, zeste di limone e acqua. Mentre i cuori dei carciofi vengono fritti con farine senza glutine. I passaggi strategici legati alla frittura?

«Occorre preventivamente trasferire l’acqua in frigorifero e, per renderla ancora più fredda, metterla circa 20 minuti anche in congelatore: lo shock termico tra pastella fredda e olio caldo contribuirà a rendere ancora più leggero il fritto. Si scalderà poi l’olio in una friggitrice o una padella dai bordi alti, si disporrà in una grande scodella la farina di riso, di grano saraceno e di piselli, unendo per ultimo la fecola e un pizzico di zenzero secco in polvere e si verserà l’acqua ghiacciata per formare una densa pastella solo quando l’olio è quasi pronto. È importante appoggiare la scodella della pastella su un contenitore con dentro acqua e ghiaccio in modo da mantenere la temperatura della pastella il più fredda possibile fino alla fine delle operazioni di cottura».

Riflettori sul baccalà

Ha posto i riflettori sul suo baccalà fritto lo chef stellato Pietro Penna di Casamatta Restaurant di Manduria (Ta), che ha sottolineato come la frittura sia un argomento che cambia a seconda del prodotto trattato. «Non esiste un solo metodo per cuocere in questa modalità: il procedimento cambia per ortaggi, pesce o carne, prodotti da scegliere sempre e comunque con caratteristiche ben precise al fine di ottenere un risultato ottimale. Per esempio, il baccalà è da preferire in tranci alti, il più possibile privi di parte acquosa e asciutti, così che trattenga la parte umida nel cuore, con la conseguenza di un pesce fritto non secco e stopposo, ma morbido all’interno. Inoltre, è fortemente consigliato lasciare il baccalà in ammollo nel latte per almeno 12 ore al fine di fargli scaricare la parte salina che nel fritto risulterebbe eccessiva».

La pastella è composta da semola rimacinata di grano duro e farina 00 , ma di forza. «Per la cottura io utilizzo olio di oliva della raccolta precedente, tenendolo costantemente alla temperatura controllata di 180 °C, senza, per quanto possibili fargli subire sbalzi termici». 

Lo chef spiega che friggere utilizzando olio di oliva non novello, ma dell’anno precedente, fa parte della tradizione del Sud Italia. «È un fritto che offre un sapore leggermente più intenso rispetto a quello realizzato con olio di semi. Io continuo ad utilizzarlo, con qualche eccezione per cui l’olio di semi risulta più adatto grazie alla leggerezza che conferisce al gusto finale della ricetta».

Olio della raccolta precedente

Tornando in tema vegetariano, e guardando alla prossima primavera, ecco la voce di Francesco Paladino, pluripremiato resident chef al Naturalis Bio Resort agricolo di Martano, dove sono presenti numerosi orti bio da cui provengono le materie prime di altissima qualità e genuinità che gli permettono di combinare tradizione salentina e innovazione gourmet. Una delle sue ricette più apprezzate dagli ospiti sono i Fiori di zucchina in tempura, farciti di ricotta, stracciatella e caciocavallo stagionato in grotta, serviti con gazpacho di pomodoro.

Tempure

«Presso il bioresort sono presenti due filari coltivati con fiori di zucchina. Li cogliamo in modo costante, anche coinvolgendo gli ospiti in attività open air. Si tratta di una verdura a km zero di qualità premium che diamo modo di assaporare in una frittura estremamente asciutta e croccante fuori, con un cuore caldo, cremoso ed estremamente gustoso».  Oltre all’imprescindibile qualità della materia prima, lo chef Paladino ci ha spiegato la sua triade chiave che gli permette di raggiungere l’eccellenza nel suo fritto: olio, farina e asciugatura.

«Io utilizzo solo olio di arachidi alla temperatura di circa 170 °C e cambio spesso l’olio in friggitrice così da non permettergli di avvicinarsi neanche lontanamente dall’essere esausto. Per consentire un’esperienza degustativa impeccabile, scolo e asciugo il fritto appena pronto utilizzando abbondante carta apposita, così da essere sicuro che il piatto arrivi al tavolo senza neppure una goccia d’olio. Il risultato è una ricetta assolutamente priva di unto e molto leggera». 

Mix di farine per la panatura

Lo chef utilizza un mélange per ottenere il risultato di fragranza desiderato. «Utilizzo un mix composto da tre tipi di farina: quella prodotta dal nostro grano Senatore Cappelli coltivato presso il bioresort, la farina 0 del Molino della Giovanna e una certa percentuale di farina di riso. Per creare la pastella utilizzo acqua, né frizzante e neppure ghiacciata: il risultato finale perfetto del fritto dipende infatti dalla sua corretta densità. Quindi, il dosaggio di farina, acqua e sale avviene con estrema precisione, anche a seconda del grado di umidità presente». 

Carciofo, principe tra i fritti

Il carciofo fritto è tra i piatti forti della carta di Casale Rufini, al cui timone c’è lo chef Marco Rufini, ex docente della Gambero Rosso Academy. Il nonno aprì a Roma nel 1960 il ristorante che ben presto si specializzò in fritti e pizzeria. «Negli anni è variato il concept del fritto, da cucina di recupero a piatto di prima scelta. Si tratta di un metodo di cottura nato per riutilizzare il cibo avanzato: per non sprecarlo, abbiamo iniziato a friggerlo trasformando molte ricette in supplì, una scelta molto apprezzata. Ne è un esempio la lasagna fritta servita con besciamella, salsa bolognese e panatura esterna. Oggi, invece, il fritto è una ricetta con grande identità e si preparano cannelloni e lasagne appositamente per essere fritti».

La ricetta del Carciofo fritto alla Rufini? Il carciofo cotto deve raffreddarsi a temperatura ambiente e poi riposare in cella frigorifera per un giorno intero. Trascorso questo arco di tempo è riempito con un impasto di mozzarella fiordilatte, poi impanato, fritto e spolverato con un pecorino viterbese stagionato 11 mesi. Infine, il tutto è servito su una vellutata di carciofi decorata da un ramoscello di menta.

Da carciofo a supplì

«È un carciofo diventato supplì preparato con ingredienti slow food e a km zero. L’olio utilizzato per la frittura è alto oleico girasole: permette un punto di fumo più alto, intorno ai 230°C, adatto per cuocere tra i 160 e i 180°C, in base alla materia prima. È un olio che resiste ad elevate temperature e consente una migliore digestione. Nel tempo, abbiamo cambiato gli strumenti utilizzati per la frittura, ma è invece rimasta invariata la panatura, come la si preparava nel ristorante 60 anni fa. Il segreto? Noi produciamo il pane con cereali misti e base integrale, cotto a legna, che risulta quindi molto aromatico. Poi lo affettiamo e lo lasciamo essiccare in modo naturale su una grande rete per circa una settimana, dopodiché avviene la macinatura e da essa ricaviamo la panatura dal sapore rustico e intenso».

Extravergine, l'olio più adatto

Anche Francesco Bordone, resident chef della Ricci Osteria di Milano, è assolutamente d’accordo sulla bontà dell’olio di oliva per friggere e sull’importanza dello shock termico tra ingrediente e olio. «Bisogna sfatare un mito: in assoluto, l’olio migliore per la frittura è quello extravergine di oliva. I motivi? Ha un alto punto di fumo e ha meno acidi grassi di qualsiasi altro olio, quindi riesce a preservare un gusto e una digeribilità che non ha rivali. Ovviamente non si deve mai raggiungere il punto di fumo perché dannoso per la salute e perché si rischia di raggiungere il punto di infiammabilità, pericoloso per la sicurezza».

Presso il ristorante si dà il benvenuto con una amuse-bouche che riscuote molto successo: una polpetta di pane prima avvolta in uno strato di pangrattato e poi fritta in olio di arachidi. «Per questa ricetta scegliamo specificamente questo olio perché ha pochi acidi grassi e tanti acidi insaturi e un punto di fumo più alto e ridurre i rischi per la salute rispetto all’olio di girasole e al bifrazionato.

Nella preparazione del suo fiore di zucca fritto, lo chef utilizza una tecnica che ha imparato in Giappone: lasciare le farine di riso e di grano tenero a riposare per almeno 12 ore, coperti da uno strato di ghiaccio. Successivamente, dopo aver riempito i fiori con ricotta, menta e pecorino, li passa in questa pastella estremamente fredda e poi nel pangrattato. Il passaggio determinante del risposo con il ghiaccio permette, andando poi a friggere a 170 °C, di favorire una crosta deliziosa per un fritto leggero e croccante. 

Frittura al forno

«Una tecnica che utilizzo e che restituisce un risultato di massimo gusto, leggerezza e digeribilità è la frittura al forno, chiamata anche “frittura superficiale”. Così preparo la parmigiana di melanzane: immergo le fette di verdura in uno strato sottile di olio extra vergine di oliva, senza andare ad immergerle completamente e inforno a 165 °C».

Molto interessante anche l’esperimento che lo chef ha realizzato durante lo scorso periodo natalizio: la frittura in glucosio. «I Porcedduzzi, la versione pugliese degli struffoli napoletani, palline di pasta con uova e latte, senza aggiunta di zucchero, sono stati cotti friggendoli in una sorta di brodino composto da glucosio alla temperatura di 160°C. Il risultato è di una doratura molto piacevole e un effetto caramellato molto interessante».

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