Le (tante) anime del vino biologico

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Un produttore e quattro ristoratori ci raccontano il comparto. E su due aspetti sembrano tutti d’accordo: bio o non bio il vino dev’essere prima di tutto buono. In futuro il biologico diventerà centrale nelle richieste dei clienti

Poco meno di centoventimila ettari. Che nell’ottica della produzione nazionale di vino potrebbero sembrare un’inezia, eppure racchiudono significati pesanti e un’interessante fotografia del momento attuale: sono infatti gli ettari dedicati alla produzione di vino biologico in Italia, quasi il 18% dell’intera superficie vitata del Paese, aumentati più del doppio negli ultimi dieci anni.

Limiti e pratiche del biologico

Si tratta della coltivazione rientrante sotto l’ombrello del  Regolamento Europeo 203/2012; in esso sono raccolte le pratiche vietate (tra le varie si trovano la concentrazione parziale a freddo, l’eliminazione dell’anidride solforosa con procedimenti fisici e il trattamento per elettrodialisi per garantire la stabilizzazione tartarica del vino) e soprattutto i limiti ammessi per la famigerata anidride solforosa, solitamente fulcro del dibattito quando si tratta di vino biologico (100mg/l per i vini rossi con zucchero residuo inferiore a 2g/l; 150mg/l per i vini bianchi e rosati con un livello di zuccheri residui inferiore a 2g/l).

Numeri che vanno ad aggiungersi alle proiezioni che più di tutte interessano produttori e ristoratori: nel 2028, il mercato del vino bio toccherà i 24,55 miliardi di dollari a valore, secondo recenti stime dell’Organic Wine Market Forecast to 2028 firmato da The Insight Partners: un notevole +12% di crescita anno su anno.

Il bisogno di trasparenza

Eppure, sebbene crescente sia l’interesse per il comparto, molto c’è ancora da fare per renderlo il più trasparente possibile: «Il mondo biologico si divide in due macro-categorie, dalle differenze enormi», spiega Pietro Giambenini, insieme al fratello Aldo titolare di Tenuta La Ca’, nel Bardolino (30mila bottiglie l’anno). «Si trovano i produttori esclusivamente biologici come noi, con un solo vigneto che non vive prossimo ad altri e ha quindi ragione di essere bio, perché destinatario di tutte le cure necessarie; la coltivazione incontra la minor azione esterna possibile, il vero motore del lavoro in biologico è la ragione etica. E di contro, si trovano grandi aziende con sole porzioni di vigneto biologico, che pur rispettando tutte le regole, fanno rientrare le coltivazioni bio nella propria produzione per una mera questione di mercato».

Convivenze

La convivenza di queste due realtà corre il rischio di ingenerare una certa confusione nel consumatore, che pur ormai spessissimo alla ricerca di filiera corta e buone pratiche, non riesce sempre a cogliere le sfumature che passano tra il lavoro dei colossi del settore, e quello degli artigiani; con questi ultimi che finiscono per perdere di credibilità. Tenuta La Ca’ è tra l’altro associata FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti fondata nel 2008, che conta oggi quasi 1.500 soci.

Troppe deroghe?

Nella foto, da sinistra, i fratelli Aldo e Pietro Giambenini della Tenuta La Ca’, nel Bardolino, insieme ai genitori Laura e Piergiorgio

Tra le cause principali della diatriba interna al mondo del vino bio, si può facilmente riscontrare una fumosità formale che di certo non aiuta: «Il sistema biologico vive di tantissime deroghe - prosegue Giambenini - peraltro più relative al lavoro in cantina che non a quello in campagna. Noi, ad esempio, usiamo lieviti indigeni senza additivi di sorta; ma se un produttore fatica a trovare chiarificanti o stabilizzanti idonei al biologico, può ottenere, da aziende che propongono prodotti enologici, una certificazione che sostiene che quei prodotti non esistono in bio, e può quindi procedere a usare i prodotti convenzionali. Chiaro che alcune cose rimangono vietate, ma consentendo questa pratica, si autorizzano i produttori a fare quello che vogliono». 

Espansione del segmento

Ciononostante, gli ostacoli, anche solo etici, per la produzione di vino bio di qualità non fermeranno l’espansione del segmento. «La sostenibilità rimarrà un tema centrale, andrà addirittura acquisendo ulteriore importanza. C’è sempre più informazione, e di conseguenza il consumatore vuole apprendere e comunicare di più in merito al vino biologico, biodinamico, che ricadono peraltro nel vino artigianale». Proseguirà la dicotomia quasi guerresca tra vino industriale e vino artigianale?

Un confronto

«È un confronto, non necessariamente uno scontro, sono due modi di fare vino molto diversi. L’artigiano guarda la terra, la vigna, il terroir; la grande azienda, a ragione, punta anche ai grandi numeri». Fattore di estrema rilevanza avrà ancora il cambiamento climatico, recentemente di assoluta centralità date le temperature insolitamente alte registrate su tutto il territorio nazionale: se è vero che muffe e malattie si servono dell’umidità per proliferare (e quindi senza piogge non possono causare troppi problemi), è pleonastico affermare che l’approvvigionamento idrico è necessario. «Crescerà ancora la consapevolezza del consumatore, il biologico diventerà quasi un’ovvietà: il mercato si è sempre mosso verso temi sensibili, e questo lo è. Arriveremo a un punto in cui non si dovrà neanche più chiedere conferma sull’essere o non essere biologico, sarà la regola».

Cosa pensano i ristoratori

Matteo Circella

Avguštin Devetak

Federico Malinverno

Susanna Tezzon

 

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