Dopo la cucina dell’Estremo Oriente, arriva il turno di quella africana. Ora è la gastronomia di Senegal, Mali, e Nigeria ad attrarre gli chef occidentali e a stimolarne la fantasia. Il trend ha preso piede soprattutto a Parigi e New York. E' in queste città che ha avuto luogo la riabilitazione di una cucina africana vittima di pregiudizi che la vogliono pesante, piccante, stereotipata, lunga da preparare. Il riscatto è cominciato in Francia, dove la popolazione nera è rimasta più vicina alle sue radici africane e sono ancora presenti le tradizioni portate dall'immigrazione postcoloniale senegalese e maliana.
Tutto è cominciato a Parigi, in sordina, con l’ormai famoso "Cucchiaio nero" di Fati Niang, il primo food truck africano apparso nel 2013. A questo, seguirono locali divenuti poi emblematici come il Rios di Camaraos di Montreuil e il Melnelik di Parigi. Poi è avvenuto il salto dall’ambiente etnico a quello francese, con il lavoro di rivisitazione, ibridazione e alleggerimento delle più iconiche specialità africane. Ricordiamo il Ceebu jën, riso col pesce; il mafé, stufato di carne e verdure al burro di arachidi; il thieb, umido di pesce (o carne), riso e salsa di pomodoro; il chicken yassa, brasato di pollo marinato con spezie, cipolla e limone; l’ attiéké, cous cous di manioca ivoriano.
Anche negli Stati Uniti la cucina africana è sempre più considerata la nuova frontiera, in particolare da Kim Severson, del New York Times che nel suo giornale ha citato con enfasi locali il “Dept of Culture” di Brooklyn, condotto dallo chef nigeriano Ayo Balogun; il “Tatiana”, nuovo ristorante di cucina afro-caraibica dello chef Kwame Onwuachi, e il “Naija Boy Tacos”, fusion messico-nigeriano di Rasheed Amedu.
Aspettiamo la rispsta degli chef italiani.