Tre lingue e tre culture, la germanica, l’italiana e la ladina. Tutto farebbe supporre un’analoga differenza di cucine, ma non è così: in Trentino e Alto Adige, le tradizioni gastronomiche hanno avuto tutto il tempo per conoscersi, incontrarsi, scontrarsi, apprezzarsi e scambiarsi ingredienti e princìpi culinari.
Chef altoatesini e chef trentini
La valle del fiume Adige, con il suo proseguimento nella valle dell’Isarco fino al passo del Brennero, era una primaria via di comunicazione tra l’Europa centrale e quella mediterranea. Inevitabili, dunque, gli scambi tra due aree che sono anche accomunate dalla circostanza non secondaria di essere entrambe montane.
Oggi i numerosi cuochi altoatesini di livello si propongono come la frangia meridionale di quella legione di “nuovi chef d’avanguardia germano-scandinavi” la cui cucina è fortemente ispirata alle materie prime del territorio anche se, nel caso dell’estremo Nord, queste si riducono a pesci, alghe e licheni. Gli chef del Sudtirolo hanno a disposizione un ben più vasto paniere alpino di formaggi e latticini, pesci d’acqua dolce, cacciagione, salumi, erbe aromatiche, grano saraceno, orzo, segale, frutti di bosco e le amate spezie per le quali nutrono una fissazione quasi “alchemica”. In più, hanno accolto le verdure fresche del nostro meridione, il pesce di mare e le erbe mediterranee e tenuto sotto controllo il livello dei grassi animali. L’esempio della cucina stellata è stato seguito da quella senza stelle e dalla casalinga che, pur mantenendosi fedele ai principi della tradizione – sempre molto rispettata quando è in gioco l’identità – ha aperto il suo profilo montanaro a divagazioni a base di pasta, verdure, olio di oliva e pesci del Mediterraneo.
Anche il Trentino ha accolto gli influssi provenienti da Nord, traendo idee per migliorare l’appetibilità di una cucina di sussistenza, contadina e bracciantile, mai raggiunta dall’eco delle pietanze servite nelle fastose tavole del Principato Vescovile di Trento. Ma vediamo più da vicino alcuni tra i prodotti più rappresentativi di questo straordinario, composito territorio:
I Canederli (o Knödel)
Sono i grandi gnocchi di pane pane bianco raffermo con erba cipollina, uova, speck e cipolla e speck nella versione tirolese, mentre in Trentino si preferisce la lucanica affumicata. Oggi la ricetta tradizionale si è evoluta di numerose varianti e, sia nei ristoranti sia nelle gastronomie, si possono trovare canederli di fegato, con gli spinaci, con le erbette, alla barbabietola.
I canederli sono la grande specialità ecumenica, presente al di qua e al di là della Chiusa di Salorno è il canederlo, Non c’è contrada, trentina o bolzanina dove i canederli non vengano portati a tavola spesso e volentieri. Soprattutto in brodo, ma anche asciutti, al burro, e serviti come primo piatto o come contorno di un piatto a base di carne.
Il Graukäse (o Formaggio Grigio)
È il formaggio più magro che si possa desiderare con il 2 per cento di grassi al massimo, è privo di colesterolo e accessibile anche ai vegetariani perché non contiene caglio animale. Per farlo si parte dal latte scremato residuato dalla produzione del burro e lasciato riposare due giorni per dare vita a un coagulazione acida. Quindi si porta a 55°C e si lascia affiorare la massa caseosa che viene pressata per spurgarla dal siero, dopodiché viene salata e fatta stagionare per alcune settimane. Ne risulta un formaggio dal sapore denso, da degustare tal quale o condito con olio, aceto e cipolle crude, oppure da usare in cucina.
Il Puzzone di Moena
Spretz Tzaorì in ladino, è un formaggio a latte crudo stagionato da 3 a 10 mesi, dal sapore piacevolmente piccante e dall’odore irresistibile checché suggerisca il nome. Oltre che per l’odore, si riconosce per la crosta untuosa. Al taglio presenta una pasta piena di colore paglierino chiaro e con una piccola occhiatura sparsa. Si produce nelle valli di Fiemme e di Fassa. Non facilmente reperibile nelle formaggerie italiane, la cosa migliore è, come spesso accade con i prodotti tipici, degustarlo in loco.
Lo speck
Non si può dire di conoscere lo speck del Trentino se non si conosce la differenza tra quello industriale e quello artigianale. Anzitutto l’età e dal peso del suino: quelli usati per la produzione dello speck industriale vengono macellati a un’età di nove mesi, quelli che verranno macellati e lavorati artigianalmente sono lasciati in vita oltre tre anni. Naturalmente sono più grossi e grassi, capaci di superare i 230 chili contro i 130 chili dei suinetti usati dall’industria. Ma i contadini assicurano che il maiale raggiunge l’equilibrio ottimale tra parte grassa e parte magra, indispensabile per ottenere un buon prodotto, quando supera i 230 chili.
Un’altra importante differenza è che nei masi si produce lo speck una sola volta all’anno, non a rotazione continua come fa l’industria. In questo modo si possono evitare le celle frigorifere e salare e stagionare nelle cantine dove l’aria è più secca e la temperatura leggermente più alta. Lo speck viene preparato in autunno, dopo le prime gelate notturne, quando è scongiurato il pericolo di contaminazione a opera degli insetti e si può così evitare anche l’uso di insetticidi.
Una volte disossate, le cosce vengono salate a secco su assi di legno, non immerse in vasche con la salamoia che invece viene versata su ciascuna di esse ogni tre giorni. Dopo vengono appese e affumicate una o due volte al giorno con legno di abete. Infine c’è la stagionatura, che si protrae per almeno un anno, a differenza di quella industriale che dura pochi mesi. In primavera, una leggera coltre di muffa segnalerà che lo speck è pronto.
La mortandela
E' un antico salume trentino, ormai raro, fatto con frattaglie: polmone, fegato, cuore, lingua, gola, sottogola e grasso del maiale denervate, macinate e impastate con sale, pepe, aromi e vino. Con l’impasto si formano delle palline simili a polpette che vengono battute a lungo con le mani per far uscire tutta l’aria inglobata. Poi sono disposte su delle assi di legno precedentemente infarinate con farina di grano saraceno e lasciate asciugare in cella frigorifera per circa 12 ore, dopodiché vengono affumicate e quindi stagionate per circa una settimana. La mortandela è un prodotto semifresco. Si può consumare cruda o cotta con polenta, patate, crauti e verdure di campo bollite.
Il catalogo di GranChef Premium Food,
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Prodotti regionali e prodotti innovativi di f saranno presentati da Hotel 2024, che si annuncia anche quest’anno come un appuntamento imprescindibile per gli operatori del settore, sempre alla ricerca di qualità e di innovazione.
Foto di Martino Ragusa