A Milano, le cucine del mondo hanno il loro quartier generale a Porta Venezia. Fra tutte emerge Spica (la stella visibile da ogni parte della Terra), il nuovo concept restaurant che amalgama la cucina di quattro macro-aree geografiche: Sud-Est Asiatico, Sub-continente Indiano, Europa, Americhe.
Le chef Ritu Dalmia e Viviana Varese hanno impostato il menu come un viaggio culinario attraverso il mondo, concentrandolo all’interno di un ex edificio industriale con cortile-giardino. Vudafieri-Saverino Partners ne hanno preservato l’identità sostituendo le parti mancanti del pavimento in seminato con cemento, lasciando a vista le stratificazioni succedutesi sulla parete accanto all’ingresso e mantenendo le vetrate originali a riquadri che si aprono sulla strada. Sei grandi aperture che sottolineano l’eliminazione dei confini propri del concept di Spica così come il colore diversificato delle tende anticipa quello del trattamento delle superfici verticali interne e dei portali in cemento che prende a riferimento il design radicale dell’architetto e designer Ettore Sottsass.
Ispirati dai maestri
Non è l’unico richiamo ai maestri del design milanese del XX secolo. Il rigore formale degli arredi disegnati da Franco Albini (sedia Luisa) è chiaro nelle poltroncine così come negli sgabelli del cocktail bar, accoppiati anche alla lunga mensola fronte finestra. È questa la zona di accoglienza con bancone di 8 metri che si ispira ai bar milanesi anni ’60 (sfondo di vetro anticato, piano in ottone polverizzato, la bottigliera sospesa), periodo di riferimento anche dei mobili in laminato noce, con struttura in ferro verniciato nero e dettagli in ottone, utilizzati come service station ed espositori di ricordi di viaggio. Il progetto di distribuzione degli spazi segue l’impostazione di benessere e armonia prescritta dall’antica disciplina architettonica olistica di origine indiana Vastu. Da qui in poi si succedono la zona lounge con quattro tavoli rotondi, nella medesima finitura del bancone (su disegno dai progettisti), la sala ristorante, dove la luce e il colore sono gli assoluti protagonisti, e la zona cucina.
Il richiamo al viaggio
La luce naturale entra copiosa dalle aperture a tutt’altezza, riflettendosi sugli specchi e sulle grandi lampade (disegno di Andrea Anatasio) che rievocano la forma di strumenti agricoli tipici dell’India, paese d’origine di Ritu Dalmia, così come i rivestimenti a inserti geometrici dai colori fluo simboleggiano le culture e la ricchezza dei Paesi visitati nei suoi viaggi.
Pareti e colonne prendono vita anche grazie alle sagome in metallo dell’artista sudafricano Jaco Sieberhagenc e la sala ristorante, con un piccolo angolo giardino, diventa dinamica con la distribuzione flessibile dei tavoli. Spica è un luogo d’incontro dove il design italiano, l’arte culinaria e le culture cosmopolite spaziano in armonia, brillando di luce propria.