Rendere la grande cucina alla portata di tutti. Questa la semplice (in apparenza) idea di Davide Oldani che al suo D’O a Cornaredo ha sempre perseguito l’idea di alta ristorazione democratica.
Come è cambiata la ristorazione in questo decennio?
Questo decennio ci ha dato una identità precisa. Ed Expo ha rappresentato un punto di svolta. La ristorazione ormai punta alla qualità piuttosto che alla quantità. E ciò ha spinto noi cuochi a ricercare prodotti ottimi di base, validi anche senza troppe manipolazioni, per poi impegnarci, da cuochi, a dare un valore aggiunto a quello che la natura ci offre. Il che per me significa avvicinarsi alla vera anima del cuoco. Expo 2015, poi, è stato fondamentale, perché ci ha consentito di dire a voce alta che il buon cibo deve essere per tutti. Il che mi ricollega all’essenza della mia cucina Pop: prodotti poveri, ma d’eccellenza, elaborati con l’esperienza e le tecniche dell’alta cucina, con lo scopo di proporre una ristorazione a prezzi accessibili.
Cosa significa oggi essere chef?
Il cuoco è la persona che si dedica al cibo e al “bene essere” degli altri, nel senso dell’ospitalità all’italiana, quello a cui ci dobbiamo dedicare. Ospitalità significa curare a tutto tondo gli aspetti dell’arte di ricevere la clientela. Per questo la mia voglia di accogliere le persone è andata anche oltre la cucina, portandomi a curare gli aspetti che fanno diventare più piacevole lo stare a tavola e quindi anche il design ad esempio di piatti, posate, bicchieri ma anche agli elementi di arredo del mio ristorante, dai tavoli alle poltroncine, per esempio, che ho ideato personalmente.
Come si è evoluta la tua cucina?
Si cresce, e col passare degli anni ho imparato a conoscere sempre meglio le esigenze dell’ospite. Inoltre sono più consapevoli delle mie capacità e conosco l’importanza, nel D’O di oggi, del lavoro di squadra (mi piace citare ad esempio Alessandro Procopio e Wladimiro Nava). Non solo lo chef, quindi, ma tutta l’équipe è importante.
Ci sono tecniche di cucina hanno segnato l’ultimo decennio?
Quello che ha fatto svoltare la cucina è l’anima del cuoco, abbinata alla tecnica, da cui ovviamente non si può prescindere. I cuochi hanno capito che alcune regole in cucina potevano essere evase in modo intelligente e moderno; ciò è successo un po’ in tutto il mondo professionale e in tutte le nazioni, ciascuno comprendendo allo stesso tempo il valore della propria tradizione e cultura gastronomica, che partono dal piatto e che vanno salvaguardate.
Come è cambiato il cliente?
Si è evoluto e informato, soprattutto grazie ai media e all’approccio ai social: ormai tutti, prima ancora di mangiare, fotografano i piatti e postano una foto. Molti criticano questa abitudine, ma alla fine lo trovo un cambiamento positivo, che ha portato le persone ad essere attente e consapevoli verso una alimentazione più corretta, con una generale crescita della cultura del cibo e delle materie prime. La conseguenza è un sempre maggior impegno da parte dei professionisti a far mangiare meglio ed essere all’altezza dell’interazione con una clientela che ha esigenze elevate.
Come è giudicata all’estero la nostra ristorazione?
Ci viene riconosciuto il cambiamento qualitativo di questi anni. Ed è acquisito il fatto che siamo in grado di offrire più formule e modalità per avvicinarsi al buon cibo: ristoranti di livello, bistrot gastronomici e pizzerie che hanno fatto un salto verso l’alto grazie a professionisti come Franco Pepe o Simone Padoan.
A cosa non rinunceresti mai nel tuo lavoro?
Alla passione, che mi porta a confrontarmi, ad ascoltare e fare tesoro di quello che mi viene trasmesso.
Il futuro?
Dobbiamo fa vivere bene agli ospiti il momento attuale e fare affidamento sul presente per far capire l’amore che mettiamo nel nostro lavoro.