Cocktail al ristorante, perché no? I drink possono avere un ruolo strategico nella gestione e non sono rari gli esempi di locali in cui il cliente entra per un cocktail, ma poi si ferma a cena. Senza scordare che un aperitivo ben fatto, con relativi stuzzichini, è una “dichiarazione d’intenti” per quello che verrà dopo, a tavola.
Un “welcome” di cui può essere strategico riappropriarsi e che - diversamente dal vino - può essere calibrato allungandolo in giusti mix, stuzzicando l’appetito senza appesantire l’ospite sia in calorie sia in gradazione alcolica.
Nonostante ciò la questione “drink” al ristorante è liquidata in malo modo: i pochi cocktail alla carta sono di scarsa manifattura e con ricarichi eccessivi. Da sapere invece che proporre un drink consente di realizzare un miscelato leggero, magari a bassa gradazione alcolica, a perfetto preludio di un pasto.
Una scelta interessante, quella del drink, anche quando si affrontano alimenti “difficili” negli abbinamenti alcolici, ad esempio lo yogurt o le preparazioni agrodolci, che più piacevolmente possono essere sposati a un drink meglio che al vino. Insomma, la via del cocktail in tavola è un’alternativa da tenere in considerazione.
Tanto più oggi che le aziende liquoristiche si stanno adoperando per diffondere la cultura del bere miscelato anche al ristorante. Così Campari ha selezionato un centinaio di locali, fra cui ristoranti e hotel (segnalati nella App di Vivimilano, per chi è alla ricerca del migliore aperitivo cittadino), che durante i sei mesi dell’Expo proporranno a tavola l’aperitivo in perfetto stile italiano, con il supporto della Casa madre.
Di più. Per approfondire il tema dell’aperitivo i titolari dei locali sono stati invitati a partecipare a incontri sul tema presso la Campari Academy.
Ristoranti ha seguito il primo di questi esclusivi educational di cui vi riportiamo la testimonianza, tenuto da una coppia di fuoriclasse, ciascuno nel suo campo: Flavio Angiolillo, barman del Mag Café (Mi) e Tano Simonato, chef patron stellato del ristorante Tano Passami l’Olio (Mi). «L’intento - dice Simonato - per me è di individuare un parallelo fra drink e cibo, fra solido e liquido, trovando un elemento che faccia da trait d’union. Il tutto senza dimenticare i canoni che ritengo importanti in un piatto: la presenza dei sapori primari e di consistenze differenti, per non rischiare di annoiare il palato».
Così si crea un “botta-e-risposta” fra bartender e chef, fra drink e appetizer. Angiolillo comincia col proporre Castro Street, un drink che vede la presenza in parti uguali di Cynar, Campari e Vermouth Cinzano 1757; e suggerisce: «È un cocktail semplice da preparare anche se non si ha dimestichezza con la miscelazione: basta versare la stessa dose di ciascun ingrediente in una boule. Poi si serve in un bicchiere old fashioned dopo averne passato il bordo con la scorza di arancia e creato un crusta con sale nero».
È proprio l’oliva il fil rouge fra l’aperitivo e l’amuse bouche di Tano Simonato: una gelatina di Bitter Campari allungata con acqua e addensata con agar agar, base per una mousse d’arancia e crema di olive, guarnita da “farina” di olive nere disidratate.
Il dialogo fra cibo e drink continua: lo chef punta al sapore dell’arancia che lega cibo e drink e usa una carne “importante”, in grado di giocarsela alla pari, per intensità di sapori, col Bitter Campari, che addensato con la maizena si fa crema e accompagna un petto d’anatra marinato nel succo d’arancia e cotto a bassa temperatura, ingentilito dalla robiola. E come drink? Angiolillo ha proposto il 14 novembre, un cocktail a base di tè ai frutti rossi, Campari e sciroppo d’amarena, che ne accenuta il bel colore rubino. Idee giuste per rinverdire il rito dell’aperitivo anche al ristorante.