Aperitivo: come farlo diventare un happy hour anche per gli chef

L'aperitivo, un comparto da 6 milioni di euro l'anno: i dati dell'evento evento “Sei già dentro l'happy hour?” organizzato da Cattel e Apci

Alleati o nemici? Il ruolo dell'aperitivo è, da tradizione, quello di aprire lo stomaco. Quindi, verrebbe da dire, un alleato della ristorazione. Ma negli anni 2000 la nascita dell'happy hour a Milano (si dice che sia opera di Vinicio Valdo del Cap San Martin) con buffet mastodontici e spesso di bassa qualità ha cambiato le carte in tavola. Portando a un fiorire di apericena, aperibrunch, aperipizza e così via, mal visti dagli chef. E oggi? Qual è il rapporto tra la ristorazione e l'aperitivo, un comparto da 6 miliardi di euro l'anno? Se lo sono chiesti all'evento “Sei già dentro l'happy hour?”, organizzato a Milano dall'azienda di distribuzione per l'horeca Cattel e da Apci (Associazione professionale cuochi italiani).

Una buona opportunità

Non si può negare che quella dell'aperitivo sia un'occasione di consumo ghiotta. Secondo i dati della società di servizi di consulenza TradeLab, presentati da Bruna Boroni, nell'ultimo anno sono stati serviti quasi 870 milioni di aperitivi fuori casa, tra serali e diurni, e il 22% degli italiani vorrebbe fare più aperitivi. Se i luoghi di elezione per questo rituale sono soprattutto bar diurni o serali, enoteche e pub, anche i ristoranti o i locali serali di fascia d'alta si ritagliano uno spazio, scelti nel 13% dei casi. È qui tra l'altro che viene battuto lo scontrino più ricco per l'aperitivo: 17 euro, contro una media di 7,70 euro. Ma non è solo una questione di cassa: secondo due chef che sull'aperitivo puntano eccome, Elio Sironi del Ceresio 7 e Giancarlo Morelli del Bulk, entrambi a Milano, il rito pre-cena è da considerare un biglietto da visita del ristorante. Una vetrina che permette al cliente di farsi incuriosire per poi eventualmente continuare la serata sedendosi al tavolo. È per questo che non si può scivolare sull'aperitivo: una proposta mediocre farà presagire una cena mediocre. Mettendo in fuga il visitatore.

Come proporlo

Portare l'aperitivo al ristorante può essere quindi una mossa vincente, a patto di avere le idee ben chiare sul come fare. E un controllo di gestione perfetto. Altrimenti si rischia di trasformare un'occasione in un danno, anche a livello economico. Secondo Lorenzo Ferrari di RistoratoreTop sono tante le domande a cui il titolare deve rispondere: vale la pena? che tipo di cibo devo servire? e da bere (se i cocktail son scelti nel 30% dei casi, non
vanno dimenticati vino, birra e drink analcolici che si ritagliano circa il 20-22% ciascuno)? cosa voglio ottenere? Per mettere ordine, l'esperto consiglia di ragionare sul posizionamento che si ha in mente: accessibile e informale oppure ricercato? Secondo i dati, la via di mezzo ha poco riscontro, mentre una proposta economica o, al contrario, di lusso ha più successo. E ancora, va stabilito il tipo di momento di consumo: si va dal classico pre-pasto che poi lascia spazio alla tavola alla proposta che sostituisce in toto la cena. Ragionando su queste quattro coordinate Ferrari propone quattro tipi di aperitivo, tra cui scegliere a seconda del proprio obiettivo.

Varie possibilità

Il primo, accessibile economicamente e limitato per quanto riguarda il cibo, è il classico aperitivo all'italiana: drink tradizionali accompagnati da qualcosa (gratis) da stuzzicare, dai taralli alle olive. Dopo l'ondata dell'happy hour è tornato in voga, perché non impegna e lascia libertà di continuare la serata come si vuole. Il secondo modello è quello definibile come «apericena» (termine decisamente poco amato nel settore), in cui la quantità ha la meglio sulla qualità: ampia proposta di cibo abbinata a drink senza voli pindarici. C'è una fascia di clientela che cerca questo modello, ma attenzione: richiede, da parte del ristoratore, una grande attenzione per il food cost e il beverage cost.

Impariamo dagli anni 2000: l'happy hour rischia di significare buffet da mantenere sempre riforniti, una sola consumazione e lunghe ore di permanenza al tavolo. Spostandosi nella zona che punta più al lusso c'è quello che Ferrari definisce «aperitivo ricercato»: una sorta di evoluzione premium di quello all'italiana, in cui gli stuzzichini e il beverage sono più raffinati e di nicchia. I prezzi salgono ovviamente. Scontrino su anche nel caso del cosiddetto tapas bar, che punta sulla qualità e su piccoli piattini che, uniti, compongono una cena, anche nel prezzo. In questo caso non si può pensare di far spostare poi i clienti al ristorante, ma si crea una alternativa valida alla cena.

I modelli, insomma, sono diversi. Ognuno può ritagliarsi quello più adatto alla propria attività, tenendo sempre conto che l'esperienza finale del cliente è un mix di prodotto, servizio, ambiente e marketing (e che il controllo di gestione è essenziale per valutare le performance economiche). Ha senso farlo anche perché, secondo i dati di TradeLab, nella scelta dell'aperitivo dopo il servizio e l'attenzione alla clientela il cibo ha più importanza del bere. Per i ristoratori, potrebbe essere una buona notizia.

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